sabato 15 marzo 2014

Fiocchetti lilla


Se questo sabato fosse un colore, sarebbe il lilla. Che in fondo è una tinta opaca, a metà tra la tenerezza del rosa e la solennità del viola. Un colore che a me, personalmente, mette tristezza. Ma forse è giusto così. Non c’è molto da stare allegri parlando di disturbi alimentari. E il 15 marzo è proprio la giornata nazionale della lotta contro di essi.
Questo lilla, insomma, dà l’idea di spegnere qualcosa. L’ascolto. Il desiderio. La fame. Le relazioni. La vita. Sì, anche quella, perché di disturbi alimentari si muore: sono la prima causa di decesso per malattia psichica e oggi è l’anniversario della scomparsa di Giulia Tavilla, morta a 17 anni per bulimia.

Ma il problema sta a monte: non nella poca, ma nella cattiva informazione. Non è vero che di disturbi alimentari si parla poco, semmai se ne parla male. Tante critiche alla società della moda e ai media, alle passerelle e alle top model. Certo, daranno il loro contributo nocivo, ma una persona non si ammala di anoressia o di bulimia perché vuole sfilare per le griffe. Quasi sempre i modelli mortiferi sono molto più vicini. La compagna di banco, l’amica, la cugina, la sorella. Oppure non ci sono modelli, ma solo la ricerca estrema di un’identità. Detto ciò, sicuramente i media non aiutano. Perché? Perché quando parlano di disturbi alimentari adottano la stessa modalità usata per tutto il resto: spettacolarizzare. Quindi le storie che diventano notizia sono solo quelle di ragazze ridotte in condizioni da biafra, vedete la campagna che Oliviero Toscani realizzò qualche anno fa per Nolita. E poi la chiamano prevenzione? No, ha un altro nome: istigazione. Già, perché forse chi non ha una conoscenza sufficientemente approfondita di queste patologie non lo immagina (e a questo punto sarebbe utile domandarsi: perché sto raccontando qualcosa di cui non so?), ma chi è affetto da un disturbo dell’alimentazione non si sente mai abbastanza grave per essere curato. La cura è aiuto, ok? E’ sollevarsi dal fardello della penitenza o del castigo e tutte le scuse sono buone per non legittimarsi a imboccarla. Sia perché, almeno inizialmente, c’è un certo piacere masochistico nel perpetrare condotte distruttive sia perché il sintomo stesso diviene anestetico emotivo: non si avvertono più le gioie, ma nemmeno i dolori, e allora tornare a “sentire” fa estremamente paura.
Quindi: per favore, non pubblicate foto di ragazze con ossa in vista, dati numerici di pesi estremamente bassi, esempi di modalità autodistruttive. E se lo fate, non dite che è per aiutare chi soffre o potrebbe essere indotto ad ammalarsi di disturbi alimentari. Perché non è così. State solo facendo il vostro gioco, arricchendovi in fama o in denaro, solo che i fenomeni da baraccone, questa volta, non sono nani e ballerine ma scheletri ambulanti. E di certo le spese qualcuno le paga. Per esempio chi si confronterà con un ologramma di 20 kg e dirà: beh, se io ne peso 40, allora cavoli, sono grassa e non ho bisogno di mangiare di più. O chi dirà: se lei vomita 10 volte al giorno e io solo 3, posso ritenermi ancora sana.
Piuttosto che sbandierare numeri e immagini shock, spesso ritoccate, dite di come si finisce di vivere in un bagno, riverse su un water, tra schizzi di sangue. Dite come si muore smettendo un giorno di potersi infilare i pantaloni da sole, quello dopo di camminare e il successivo di tossire autonomamente. Ditelo che con l’anoressia e la bulimia, ma anche con le altre e infinite patologie alimentari, non si è solo scriccioli indifesi che suscitano tenerezza, ma anche mele marce, divorate dal verme dell’ossessione. Che gli amici ti stanno vicini, sì, ma poi si stancano. Che non esistono più affetti e vita sociale. Che l’unico desiderio è starsene rintanate sotto una coperta e non vedere nessuno. Che la vita diventa rinuncia e privazione. Che le mamme e i papà piangono. Che vivere in casa diventa un inferno. Che la mente è invasa solo da un pensiero: come e quanto (non) mangiare. Non c’è nient’altro.
E ditelo che si può stare molto male anche se fuori non si vede nulla, che spesso a essere più in pericolo sono proprio le persone normopeso, quelle che non danno nell’occhio, che appaiono quasi floride, ma che nascondono dentro l’inferno. E non si sentono nemmeno legittimate a dire: sto male. Perché hanno paura di non essere credute.
Un messaggio ai miei colleghi giornalisti, se non si era capito.



Passando però al concreto, ecco come l’Italia si tinge di lilla. Lo stivale riempito di fiocchetti, a simboleggiare una lotta che coinvolge sempre più persone, famiglie, associazioni e ospedali. Istituita da Stefano Tavilla, padre di Giulia, l’associazione Mi nutro di vita ha dato il via a una serie di iniziative nelle varie città italiane.
A Brescia ci sarà un aperitivo per raccogliere fondi che finanzieranno il Centro per i disturbi del comportamento alimentare di Gussago e l’associazione di volontariato Bucaneve. Una serata all’insegna dell’allegria, del divertimento, dello stare insieme e anche della sana informazione. Saranno infatti presenti, oltre ai medici del Centro di Gussago, diverse persone toccate da dca e disponibili a offrire la loro testimonianza. A contribuire anche l’estro culturale dei ragazzi di Officina 9, associazione no profit che sta spopolando nel bresciano. Il tutto in un contesto elegante ma confortevole, al Red App, locale di recentissima apertura in via Moretto 55. E non è un caso che il nuovo tipo di pirlo (a Brescia lo spritz si chiama così) proposto da Red App si chiami Red Kiss e sia disponibile in diverse varianti, che vanno dal dolce della pesca all’asprino del pompelmo. Un invito ad assaporare colori (il rosso e il lilla) e sapori della vita, usando la bocca non solo per mangiare e per bere, ma anche per baciare.

Insieme al cocktail sarà dato un fiocchetto lilla e, per chi lo volesse, materiale informativo sul tema. Insomma, se vi va di fare un salto stasera in via Moretto, al prezzo di un aperitivo – e io che sono un’esperta di spritz posso confermarne la bontà – avrete anche svolto una buona azione.



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